DI COSTANZA OGNIBENI
Benvenuti in Portogallo, dove i termini socialismo e crescita possono convivere senza diventare utopia; benvenuti in Portogallo, dove crisi e povertà assumono sempre più le sembianze di un lontano ricordo. Benvenuti in Portogallo, dove vita frenetica e ritmi insostenibili trovano un cartello di divieto d’accesso a ogni possibile entrata. Ti accompagnano a ogni pie’ sospinto, le belle convinzioni sulla terra lusitana che ti stai accingendo a scoprire, sulla costruzione delle quali la stampa ha certamente giocato un ruolo di primo piano. Ma poi ci si mettono anche quei ventidue gradi in pieno ottobre, gli artisti di strada, la musica a ogni angolo, gli abitanti seduti sull’erba con un bicchiere di Super Bock venduto per pochi euro, e ogni convinzione basata su una buona dose di pregiudizio trova la sua conferma. E ti ritrovi lì, a lasciarti dondolare fra le acque del Duoro e quelle del Tago in cerca di continue conferme di questo sogno possibile. È cominciata da Porto, questa breve escursione in terra lusitana, ed effettivamente tra gli Azulejos, le strade strette che ricordano i carruggi genovesi, e le splendide piazze che si riversano sulla Ribeira, la passeggiata lungo il fiume dove turisti e abitanti spendono le loro ore di ozio, il benvenuto in terra portoghese non tarda ad arrivare. E nel giro di pochi attimi, lo vedi quel sogno materializzarsi lentamente davanti ai tuoi occhi. Tu, piccolo abitante delle convulse terre Occidentali, sei appena approdato in un altro posto, in un Occidente possibile, dove un leader socialista di nome Antonio Costa ha ottenuto il suo secondo mandato consecutivo.
E quando percorrendo poche centinaia di chilometri arrivi nella capitale di questo socialismo possibile, tutte le tue idee sembrano trovare una ulteriore conferma: l’aria di decadenza a cui eravamo abituati si percepisce a malapena; e man mano che ci si addentra, prende lentamente forma una città completamente diversa da quella che ci si era palesata qualche decina di anni fa: gli edifici fatiscenti, le piazze popolate da spacciatori e prostitute, le case abbandonate, sono letteralmente scomparsi, per lasciare posto a strutture completamente restaurate, che senza perdere la loro forma originaria, si presentano in una nuova veste, dove le inconfondibili finestre dalla forma rettangolare e gli infissi colorati e gli azulejos, le caratteristiche piastrelle di ceramica smaltate, trovano ancora il loro posto.
Ma, nel lento incedere nella città della rinascita, passeggiando fra i vicoli di Alfama e sorseggiando un drink nel Bairro Alto, non si può fare a meno di notare degli strani cartelli, delle sorte di “rumors” di sottofondo; uno squarcio di realtà, che si apre di fronte agli occhi dell’incredulo visitatore:
È il cosiddetto “lato oscuro della rinascita”, ovvero, il prezzo che i portoghesi hanno dovuto pagare per vedere la loro città riemergere dagli abissi, fino a essere presa d’assalto dai turisti, che quotidianamente ne popolano le strade e ne riempiono i bar.
Per comprendere la questione, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e tornare al non troppo lontano 2011, quando il governo portoghese varò una serie di difficili riforme per ripagare un prestito internazionale di 78 miliardi, che prevedevano, tra le altre cose, una nuova legge sugli affitti che di fatto ha liberalizzato il mercato immobiliare: case e palazzi hanno cominciato ad essere presi d’assalto dagli investitori stranieri, invogliati anche dal cosiddetto “visto d’oro”, un permesso di soggiorno permanente ottenibile attraverso l’acquisto di una proprietà per poche decine di migliaia di euro. A causa dell’aumento della domanda, i prezzi sono inevitabilmente lievitati, senza che, tuttavia, i portoghesi vedessero aumentare il loro stipendio, rimasto fermo a circa 850 euro al mese. Affittuari che da decine di anni pagavano canoni commisurati al loro tenore di vita, si sono ritrovati a dover fronteggiare aumenti di più del 30% in pochi anni, e, impossibilitati a pagare, sono stati sfrattati. L’ingiustizia subita si sta trasformando in una lenta e per ora silenziosa sommossa, che al momento prende forma attraverso eloquenti manifesti attaccati qui e là per le strade.
“La strategia del Portogallo per uscire dalla crisi si è concentrata sull’attirare investitori esteri” – afferma Ana Drago, ex deputata e ricercatrice di urbanistica all’istituto universitario di Lisbona – Che hanno senz’altro risolto un grave problema finanziario, ma stanno anche creando nuovi problemi ai cittadini, come la crisi degli alloggi di Lisbona”.
È l’altra faccia della ripresa, e a quanto pare i meccanismi del neo-liberismo stanno prendendo piede anche in quella che, vivendola, si rivela man mano la città della rinascita non-del-tutto-felice.
La liberalizzazione degli affitti non è certo l’unico elemento di connivenza con un sistema, che a quanto pare, continua a rimanere l’unica chiave per la ripresa, certamente economica di un paese, ma che, allo stesso tempo, elimina totalmente quell’importante sfera senza la quale non si raggiungerà mai l’auspicato “benessere diffuso”. La rinascita del Portogallo ha portato, infatti, gli abitanti lusitani a riscoprirsi in qualche modo imprenditori, e se a oggi siamo avvezzi a sentir parlare di “Made in Italy” con riferimento ai frutti delle nostre amate terre, dovremmo cominciare ad abituarci all’idea che presto sentiremo parlare di “Made in Portugal”. Sembra una battuta, ma incappare in un negozio del genere mentre si percorre la lunga via che dalla “Praca do Rossio” porta direttamente sulle sponde del Tago, fa perdere ogni forma di assurdità a queste affermazioni:
Si tratta delle cosiddette “conserveiras”, negozi di souvenir per turisti che distribuiscono scatolette di conserve, che con le loro linee vintage e i colori vivaci si presentano come veri e propri oggetti di design, in linea con la tradizione portoghese del pesce conservato. Sono passati più di 150 anni da quando la pratica di inscatolare cibo prese piede in Portogallo grazie anche agli investitori francesi, veri precursori di quest’attività, che a causa della carenza di pesce nella loro regione, indirizzarono i loro investimenti verso le terre lusitane che ne avevano in abbondanza: un’industria che conobbe la propria fioritura nel corso delle due guerre mondiali, quando le truppe da sfamare erano tante, e il cibo inscatolato pronto da spedire era diventato una necessità primaria, per poi subire una battuta d’arresto subito dopo i due conflitti, quando i portoghesi, in leggera ripresa, cominciarono a preferire altri tipi di cibo a quello inscatolato.
Ci vollero diversi anni, insieme alle nuove normative sulla pesca e al contributo di chef e nutrizionisti che cominciarono a considerarlo una fonte di proteine nobili sana e accessibile, per vedere una ripresa delle vendite, il cui picco fu raggiunto, ancora una volta, grazie all’avvento dei turisti, che in cerca di qualcosa di tipicamente portoghese, hanno elevato la sardina in scatola allo status di souvenir. Non dobbiamo, pertanto, meravigliarci se da oggi cominceremo a sentir parlare di “Made in Portugal”.
E sempre rimanendo in tema di “Made in Portugal”, chiunque capiti nel quartiere di Belem, non può fare a meno di passare per la storica Pastéis de Belem, l’antichissima pasticceria che dal 1837 si tramanda la ricetta segreta dei Pasteis de nata, i tipici dolci portoghesi a base di crema e pasta sfoglia: una ricetta apparentemente facile da replicare, ma di cui, in realtà, solo pochi privilegiati detengono il vero segreto, tramandato dai monaci che la inventarono nel XIX secolo, e mai diffuso oltre le mura della pasticceria, divenuta oggi il tempio dei golosi provenienti da ogni parte del mondo. Sono solo tre, invero, le persone che preparano la base del gustoso pasticcino, il cuoco insieme ai suoi due aiutanti, supportati, nelle fasi successive, da decine di collaboratori.
Il Portogallo è anche disseminato di città universitarie, Coimbra ne è senz’altro la madre, ma la tradizione si è estesa a macchia d’olio in tutto il paese, perciò anche passeggiando per Lisbona capiterà di incappare in gruppi di studenti avvolti da strane tuniche nere che ricordano le divise dei discepoli della scuola di Hogwarts di Harry Potter: è il cosiddetto “traje academico” o “capa e batina” e fa parte di una tradizione che affonda le sue radici in tempi assai lontani: chiunque, infatti, penserebbe che siano gli studenti a essersi ispirati ai maghetti della saga della Rowling nel disegnare i loro abiti, ma sembrerebbe che sia stata proprio la scrittrice britannica, durante il suo soggiorno portoghese, a trarre spunto dagli studenti dell’università di Porto per delineare le divise dei suoi personaggi.
E strabuzzeremo gli occhi – ma anche questo non deve meravigliarci – nel vederli portare avanti veri e propri rituali dove i più anziani impartiscono ordini ai più giovani, sottoponendoli a prove fisiche e psicologiche nel bel mezzo delle piazze e sotto gli increduli sguardi degli ignari passanti.
Si tratta di un rito di iniziazione con cui le matricole (caloiros) vengono sottoposte a estenuanti prove da parte dei più anziani (doutores); rito vissuto come una sorta di battesimo, un primo ingresso nel mondo universitario. Un’usanza dettata dalla cosiddetta “Praxe”, un vero e proprio codice di condotta che fa parte della tradizione universitaria portoghese e regolamenta lo svolgimento delle varie attività degli studenti che vi aderiscono: dalla gerarchia delle cariche al controllo stesso dei comportamenti nel corso delle varie celebrazioni. Una volta superate le prove, si organizzano per le matricole numerose feste di benvenuto, dove si esibiscono le band musicali e altri artisti talentuosi appartenenti al mondo universitario. L’agenda degli studenti che aderiscono alla “Praxe” è densa di appuntamenti, ci sono le feste accademiche, gli eventi musicali (festivals of Tunas), le sfilate (Cortejos). Tutto questo non fa che rafforzare il legame tra gli iscritti, che sempre più sentono di far parte di una sorta di “casta” privilegiata, con l’onore e l’onere che ne consegue. Il mondo della Praxe non fa parte dell’organizzazione universitaria, e rimane pertanto un fenomeno che sfugge al controllo delle istituzioni, che cercano con tutti i mezzi di scoraggiarla, poiché la reputano pericolosa e spesso fonte di soprusi. Impresa non facile, se si pensa che la sua ripresa coincide proprio con la caduta del regime di Salazar: gli studenti avevano dato un significativo contributo ai moti di ribellione di fine anni 60 che portarono alla Rivoluzione dei Garofani del 1974, e ha fatto storia la vicenda dello studente dell’università di Coimbra, divenuto poi Ministro della Giustizia, che nel 1969 si era alzato i piedi durante un’assemblea avvolto dalla sua tunica nera, e aveva espresso una lunga arringa contro il governo e il regime, aizzando ulteriormente il movimento di protesta contro la dittatura iniziato già da qualche anno.
La tradizione della Praxe è ricca di sfumature, e un breve viaggio alimentato da qualche ricerca non basta a esaurire la lunga storia che porta con sé.
Come non bastano queste righe a raccontare la vera realtà del Portogallo, con le sue illusioni e le sue contraddizioni. Certo è che raccontarlo come il paese dell’utopia socialista rimane piuttosto riduttivo; anche se con i suoi ritmi, la sua “saudade” e quell’atteggiamento di riservatezza che nulla mai ostenta, rimane pur sempre un ottimo punto di sosta dove riprendere fiato dai convulsi ritmi della società globalizzata.