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Tutela della salute, ma anche dei propri affetti. Teoria e prassi per un cambio di paradigma

DI COSTANZA OGNIBENI

No volveremos a la normalidad porque la normalidad era el problema.

Rimbalzano sulle pagine di tutti i social network le suggestive parole divenute ormai il manifesto di quanti colgono nella crisi scatenata dal Coronavirus un’occasione per proporre veramente un cambiamento. È inutile che ce lo neghiamo: il Covid-19 ha messo in ginocchio un intero sistema che stava collassando su se stesso, e se non fosse stato per questa tragedia che ha colpito il mondo cosiddetto civilizzato, avremmo continuato a sopravvivere in un sistema agonizzante in attesa di una sua implosione, tirando la corda fino all’estremo. Viene in mente la metafora di quella scelleratissima sfida per cui ci si piazza sui binari in attesa del treno, all’arrivo del quale, l’ultimo che si leva dalle rotaie vince. Quello di cui gli sfidanti non hanno mai tenuto conto è la possibilità che arrivi un convoglio esattamente dal lato opposto che li travolga inaspettatamente, accelerando, così, i tempi dell’inevitabile epilogo. Chiedere di tornare alla normalità sarebbe come chiedere di tornare a sfidarsi, ma va da sé che quel gioco non si potrà più fare; le sue conseguenze ci sono state sbattute in faccia in modo neanche troppo elegante.

E nell’attesa di capire quando potrà avviarsi questa benedetta fase due, quando sarà chiaro in che termini si svolgerà e con quali rischi, ci vediamo ancora costretti a stringere i denti e portare tanta pazienza. Perché occorre pensare alla salute, prima di tutto, e poi a tutto il resto. Un resto che si tradurrà in una ripartenza da un punto di vista economico e produttivo, ma anche in una maggiore tutela dell’ambiente che ci circonda. Una convivenza che sarà da impostare ex-novo, poiché i meccanismi che governavano fino a oggi prevedevano una necessità di incrementare di continuo la macchina produttiva a scapito di un ambiente ridotto a brandelli. Per la prima volta, invece, occorrerà trovare il modo per far sì che l’uno possa esserci senza escludere l’altro, anzi, arrivare addirittura a pensare che solo attraverso una maggiore tutela dell’ambiente, l’agognato “miracolo economico” possa davvero realizzarsi. Le teorie e le modalità con cui questa nuova impostazione viene proposta sono molteplici: curiosa rimane senz’altro quella esposta da Carlo Patrignani nell’articolo pubblicato il 5 Aprile su queste stesse pagine dove crea un interessante collegamento tra la teoria della nascita di Massimo Fagioli e questo nuovo modo di stare sul pianeta terra.

“Vivere con l’ambiente naturale senza distruggerlo e inquinarlo richiede una svolta epocale, che ricaviamo dalla teoria della nascita formulata dallo psichiatra Massimo Fagiolie prosegue: chi ha un rapporto esatto con la realtà umana può fare qualsiasi cosa (pescare, edificare case, costruire strade e ponti) e non odierà mai animali né tantomeno esseri umani: non inquinerà, né distruggerà il territorio, l’ambiente”.

Concetti senza dubbio interessanti, anzi rivoluzionari, proprio per l’insolito collegamento che creano tra una teoria che si occupa esclusivamente di realtà psichica e di rapporti interumani – la cura della mente viene vista come possibile solo attraverso il recupero degli affetti – e la possibilità di una trasformazione anche nel rapporto con la natura. Un insolito collegamento che spinge a fare un ragionamento in più per poterlo comprendere. Come ben evidenziato nelle pagine di “Istinto di morte e conoscenza” (L’Asino d’oro edizioni), la prima reazione dell’essere umano è proprio quella pulsione che rende inesistente il mondo inanimato, quindi la natura, per rendere esistente qualcos’altro, ovvero la certezza di una possibilità di rapporto con un altro essere umano. Ed è un agire che l’essere umano proporrà per tutto il resto della propria esistenza, lottando contro una natura avversa, e distinguendosi in questo senso dagli animali, che invece hanno nei confronti di essa un atteggiamento passivo. L’uomo domina il mondo inanimato, e lo adatta alle sue, di leggi, mentre l’animale ne è in qualche modo dominato e sopravvive perché vi si adatta di continuo. Basti pensare agli uccelli, che quando arrivano i primi freddi emigrano, mentre l’essere umano costruisce edifici con cui potersi riscaldare. Basti pensare alle gazzelle, che in quanto più deboli non hanno speranza di affrontare il leone, pertanto si limitano a sfuggirgli. L’uomo si procura le armi, domina, uccide, sebbene la sua natura fisica non glielo permetterebbe.

E come può una teoria come quella appena esposta incentrata sul rapporto interumano, estendersi al rapporto con la natura? Forse facendo un piccolo salto – ed è quello che l’autore dell’articolo ci propone, arrivando a ipotizzare che un agire distruttivo nei confronti della natura porta con sé una componente di disattenzione nei confronti dell’altro. Un livello di inquinamento sopra i livelli consentiti, provoca inevitabilmente danni alla salute che potrebbero manifestarsi nel medio-lungo periodo. Non solo. L’uomo che distrugge il proprio habitat assume un atteggiamento miope nei confronti dei posteri, e se a causa di un ciclo vitale relativamente breve – un centinaio di anni da un punto di vista evolutivo sono quasi nulla – non subirà in modo marcato le conseguenze del proprio agire, quelli che ne pagheranno seriamente gli effetti saranno le generazioni a venire, ovvero i nostri figli.

La suddetta teoria elimina, o si propone di eliminare, qualsiasi straccio di indifferenza si insinui nella mente umana, e se ci si avvicina ogni volta di più a questo obiettivo, ecco che un’attenzione al sistema ambiente diviene non più una mera attenzione alla natura, bensì a chi la abita.  E si aggiunga a questo che nel momento in cui quella zavorra di indifferenza, quella corazza, viene eliminata, si riscopre un mondo di affetti per cui l’attenzione a tutto ciò che è materiale, finalizzata a colmare quella mancanza, quel vuoto, che la precedente situazione di cecità provocava, passa automaticamente in secondo piano.

E allora, forse, prima di occuparci della cura del sistema economico, prima ancora di occuparci della cura dell’ambiente, quello che occorre fare è recuperare quel tanto che una cultura malata ci ha fatto perdere. Occorre recuperare un modo diverso di vivere i rapporti. Occorre scoprire che al di là delle parole c’è un sentire destinato a rimanere muto, c’è una ricerca su se stessi che non va mai fermata.

C’è un trovare una nuova capacità di amare che piega al suo volere qualsiasi altro tipo di decisione.

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