Di Costanza Ognibeni – 6 Giugno 2020
5 Giugno 2020. “È il momento per la natura”. Capeggiava su tutti i quotidiani, sui blog e poi anche sui social network, lo slogan con cui si è celebrata la Giornata Mondiale per l’ambiente. Un’iniziativa per riflettere sul declino della biodiversità dovuto alle scellerate politiche di sfruttamento delle risorse perpetrate nel tempo, che hanno distrutto interi ecosistemi e stanno letteralmente mandando al collasso il nostro habitat. La tragedia COVID è stata solo una delle devastanti conseguenze delle azioni intraprese, e osservando l’ansia di ripartenza manifestata dai più ostinati leader di un turbocapitalismo ormai in fin di vita, sembrerebbe che la lezione non sia bastata: i cosiddetti “helicopter money”, distribuiti alla popolazione con il fine di stimolare i consumi in un periodo di grande depressione economica, senza un ragionamento ad ampio raggio atto ad estirpare il problema alla radice, assumono i patetici contorni di vere e proprie scosse di defibrillatore sottoposte a un sistema che sta esalando gli ultimi respiri.
Eppure ieri eravamo qui, a celebrare l’ambiente e ricordarne l’importanza, ora attraverso una conferenza, ora attraverso un articolo, ora attraverso un dibattito. Il tutto rigorosamente in streaming, impossibilitati ai grandi raduni di piazza proprio per un tragico evento causato da quelle stesse politiche basate sul reddito pro capite. E non era né la prima, né la seconda commemorazione, bensì la 38esima. E il problema non ha fatto che aggravarsi negli anni. Dunque cosa non è andato?
Erano gli anni 60 quando la crisi ambientale divenne una preoccupazione condivisa a livello internazionale: l’inquinamento su larga scala, la distruzione di interi ecosistemi e la minaccia nucleare erano divenute piaghe man mano sempre più profonde, e pertanto difficili da ignorare. Una lenta presa di consapevolezza che cominciò a manifestarsi attraverso i primi movimenti ambientalisti, ma fu l’iniziativa di un piccolo Paese scandinavo a gettare le basi per una vera e propria cooperazione internazionale in materia ambientale: il 13 dicembre del 1967 nel corso dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la delegazione svedese guidata da Sverker Ästrom e Borje Billner comunicò la necessità di organizzare un convegno per “facilitare il coordinamento e focalizzare l’interesse dei Paesi membri sui problemi estremamente complessi legati all’ambiente umano”, e convocò la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (UNCHE) nella capitale Stoccolma che si sarebbe dovuta svolgere nel 1972: per la prima volta il Sistema Nazioni Unite veniva utilizzato per spostare l’attenzione diplomatica dal paradigma nucleare verso una maggiore attenzione allo sviluppo internazionale e alla protezione dell’ambiente.
Due anni dopo la proposta, il 15 dicembre 1969, la risoluzione ONU 2581 (XXEV) affermava che:
Lo scopo principale della Conferenza dovrebbe essere quello di servire come mezzo pratico per incoraggiare e fornire linee guida per l’azione dei Governi e delle organizzazioni internazionali volta a proteggere e migliorare l’ambiente umano e a porre rimedio e prevenire il suo deterioramento, attraverso la cooperazione internazionale, tenendo presente la particolare importanza di consentire ai Paesi in via di sviluppo di prevenire il verificarsi di tali problemi.
E così, il 5 giugno 1972, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano aprì la sua prima sessione plenaria al Folkets Hus di Stoccolma. Con un discorso emblematico quanto incisivo, il primo ministro svedese Olof Palme criticò apertamente il mondo industrializzato per il suo sfruttamento ecologico ed economico, creando problemi che andavano a gravare sui Paesi in via di sviluppo. Nonostante le tensioni causate da quello stesso discorso tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, i 114 governi rappresentati a Stoccolma raggiunsero un livello di consenso senza precedenti, che gettò le basi per i primi accordi istituzionali per la cooperazione internazionale in materia di protezione ambientale, che si tradussero nella creazione del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).
Il vertice di Stoccolma si verificò, inoltre, all’interno di una cornice congressuale aperta e invitante, che vide anche un’ampia partecipazione civile: attivisti e ONG vi presero parte, creando un’eco destinata a diffondersi anche fra i cittadini, che presero a cuore la questione attraverso movimenti e iniziative che culminarono di lì a qualche decennio con il Summit della Terra del 1992 a Rio de Janeiro.
La Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano segnò dunque uno spartiacque nell’evoluzione del rapporto dell’umanità con la terra e della preoccupazione globale per l’ambiente.
Celebrare il 5 Giugno una giornata in memoria di quel grande evento è senz’altro un modo per richiamare l’attenzione su un momento cruciale della storia. Tuttavia, se oggi stiamo attraversando la più grande crisi ambientale che si sia mai verificata, e ci stiamo avvicinando sempre di più a quel “break even point” i cui i danni diventeranno irreversibili, qualcosa non è andato per il verso giusto. Le iniziative fino a oggi intraprese non sono sufficienti, poiché concentrare la questione ambientale su un problema legato esclusivamente alla natura offre una visione parziale. Preoccuparsi dell’ambiente senza cambiare quel paradigma sull’uomo che lo vede come un soggetto isolato e individualista, che agisce per il proprio tornaconto secondo la logica del “mors tua, vita mea” non permetterà mai di fare veri progressi, poiché il rispetto dell’ambiente verrà sempre percepito come una serie di norme a cui attenersi contrapposte a una indole umana naturalmente distruttiva ed egoista. Senza, dunque, un riconoscimento dell’essere umano come animale sociale e per natura propenso a rapporti costruttivi, qualsiasi azione, anche con le migliori intenzioni, rischia di rimanere fine a se stessa, poiché portata avanti da individui con un pensiero inadeguato sulla loro indole. Cominciare a cambiare il pensiero sull’uomo potrebbe essere un punto di partenza per dare a queste politiche una connotazione diversa, da percepire non più come contrapposte ma come foriere di progresso. Un progresso volto al raggiungimento di quell’anelato benessere psicofisico che da sempre l’uomo ricerca attraverso il proprio agire, e che probabilmente non si tradurrà in un aumento della capacità produttiva, ma in un miglioramento generale delle proprie condizioni di vita, attraverso una storia diversa, ancora tutta da scrivere.
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