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Ferie illimitate per tutti. Il vero prezzo della libertà

Si chiama Jonckers, è una società di traduzioni belga, sfrutta i software per tradurre, e poi fa passare i testi al vaglio dei professionisti, inserendo quindi l’elemento umano alla fine di una catena gestita da macchine, in modo da rendere il processo più produttivo ed efficiente allo stesso tempo.

E offre ferie illimitate. Un’iniziativa già avviata da tempo negli Stati Uniti, in quel della Silicon Valley, da colossi dai nomi reboanti – Netflix, Dropbox, Groupon, per citarne alcuni – e ora estesa anche alla casistica europea. Il meccanismo è semplice: raggiungi i tuoi obiettivi e potrai chiedere ferie in più, anche una volta superata la soglia consentita dai contratti nazionali, 20 giorni nel caso del Belgio, ma mai per più di due settimane consecutive.

Un meccanismo che sembra portare i suoi frutti: l’appetibilità della Jonckers è aumentata, le richieste di collaborazione fioccano, anche da parte dei professionisti più pretenziosi e irrintracciabili – come i cosiddetti “smanettoni” del software, ossigeno puro per un’azienda che si occupa di traduzioni attraverso programmi creati ad hoc – i dipendenti sembrano più motivati, e allo stesso tempo una risorsa che si concede il dovuto ristoro è anche più produttiva.

Ma anche le migliori iniziative portano con sé un lato oscuro: innanzitutto non avere un numero obbligatorio di ferie da consumare entro l’anno porta inevitabilmente il datore a non sentirsi in dovere di liquidarle. Secondo poi, studi recenti dimostrano che i lavoratori americani che per primi hanno potuto godere del privilegio delle ferie illimitate, tendono a prenderne ancora meno (dati tratti da uno studio condotto nel 2017 dalla Società di Risorse Umane Namely): non avere giorni prestabiliti, porta il lavoratore ad essere padrone del proprio tempo e a gestirlo come meglio crede. Una responsabilità alla quale subentrano molti altri fattori: la paura di essere giudicati “fannulloni”, la reticenza nel chiedere ai colleghi la sostituzione nei periodi prescelti. Infine, sempre secondo lo studio svolto dalla Namely, tra i dipendenti che godono delle ferie alla vecchia maniera, solo il 15% ammette di lavorare anche in vacanza, percentuale che arriva quasi a raddoppiare nel caso dei lavoratori a ferie illimitate, con un buon 29% di smartphone e PC accesi anche a bordo piscina o sul bagnasciuga che dir si voglia.

Un meccanismo che nel giro di poco tempo rivela il solito effetto “boomerang”, come la maggior parte delle iniziative partorite dal turbocapitalismo, che illude il dipendente di essere padrone delle proprie scelte, liberando, quindi, il datore della veste di dominatore che impone la propria volontà, e creando un sistema al quale diviene sempre più difficile ribellarsi, poiché tarato sull’illusione di una libertà: un padrone-tiranno che da nemico esterno si è sedimentato a tal punto nel pensiero comune, da essere divenuto un nemico interno, e questa presupposta libertà rimane governata da altri condizionamenti a cui diviene ancora più difficile sottrarsi.

E vien da chiedersi quale possa essere, oggi, la nuova modalità di rivolta: se una volta il nemico esterno, il padrone-tiranno, poteva essere combattuto attraverso scioperi, manifestazioni e altre iniziative collettive, qual è, oggi, il nuovo strumento offerto a chi quel padrone deve combatterlo innanzitutto internamente? Qual è la “rivolta senz’armi” che consentirà veramente di non essere più schiavi di certi tipi di condizionamento?

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